TINA MODOTTI

VITA, ARTE, MISTERO

È splendida la mostra di Rovigo, attualmente in corso, e affascinante la visita guidata a introdurre il mondo di Tina Modotti.

Un’artista è certamente la sua opera, ma è anche la sua vita che dialoga di continuo con la parte artistica. Tuttavia, quando si parla di Tina Modotti lo si fa soprattutto pensando alla vita, meno all’opera.

Friulana di nascita, Udine le dà nel 1896 umili natali, vive la sua breve esistenza di perenne emigrante attraversando alcuni momenti chiave del Novecento per vari luoghi del mondo, particolarmente significativi in otto Paesi.

Tina Modotti parla cinque lingue, essendo attrice teatrale e cinematografica, è attivista politica, combattente, promotrice del Soccorso Rosso Internazionale, traduttrice, scrittrice, poeta e pittrice. Ma è soprattutto maestra di fotografia, artista autonoma e donna libera, umana, con profondi valori sociali soprattutto verso gli ultimi e verso le molte battaglie di riforma e educazione.

Giovanissima si trasferisce prima a San Francisco, poi, a soli ventun anni, a Los Angeles con il marito pittore e poeta Robo. In un contesto bohemien intellettualmente stimolante dipinge, posa, crea vestiti di scena, scrive e soprattutto recita con stile originale e da attrice protagonista in tre pellicole nel prestigioso film muto americano dell’epoca.

Alla prematura morte del marito Robo segue l’anno della svolta. Nel 1923 si stabilisce a Città del Messico con il nuovo compagno Edward Weston che le insegna l’arte fotografica. Il suo manifesto SULLA FOTOGRAFIA (1929) sarà realizzare “oneste fotografie”, liberarsi da arte e artistico, puntare alla qualità dell’uso della macchina fotografica a pozzetto e perseguire lo scopo comunicativo. In altre parole: essere “semplicemente fotografa”.

La complessità della sua produzione ci restituisce invece e senza dubbio uno stile unico che colloca Tina Modotti nella storia dell’Arte Fotografica. Dopo gli esordi e l’apprendistato con Weston, le opere più tarde si rivolgono maggiormente alla natura e all’essere umano, fattore cruciale della sua opera. L’immancabile documentazione sociale e antropologica dai forti connotati politici ne esalta l’espressività fotografica, soprattutto con il frequente ricorso alla metonimia.

Questa figura retorica collega tutta la sua produzione: dal dettaglio evocare il tutto, evocare la realtà direttamente correlata. Come succede quando, su incarico dell’antropologa, archeologa, scrittrice Anita Brenner, Tina Modotti e Brett Weston intraprendono nel 1926 due viaggi in Messico per documentarne il folklore. L’attenzione di Tina al popolare, allo spettacolo, all’intrattenimento ambulante, alle processioni con pupazzi le rivela come in queste forme espressive il popolo avesse la possibilità di proporre un racconto proprio e, tramite la metafora della marionetta, esercitare una critica al potere precostituito.

Dopo un periodo di interesse all’estridentismo, movimento d’avanguardia messicano cui sono legate alcune sue foto sull’industria e il progresso, e alla separazione da Weston, rientrato per sempre negli Stati Uniti, troviamo una Modotti ancor più concentrata sulle donne e sull’universo femminile. La nuova fase, di una vita già piena, giunge dopo un difficoltoso viaggio solitario a metà del 1929 nella regione dell’Istmo di Tehuantepec e soprattutto dopo l’omicidio del nuovo amato Julio Antonio Mella con la gogna mediatica che la additava ingiustamente colpevole dell’assassinio del rivoluzionario cubano, ferito a morte, mentre passeggiava con lei, da un sicario professionista.

La fiera bellezza delle donne tehuane, caratterizzate da una società matriarcale, non sono le sole donne presenti nella sua produzione. Con i suoi scatti femminili il messaggio sociale riguarda soprattutto il lavoro e la dignità delle donne. Lei che non è madre, ritrae dolcemente la maternità negli scatti dedicati tanto intensamente ai bambini in braccio o allattati.

Da fine ’23 Tina Modotti deve dedicarsi assieme a Weston anche ai ritratti a pagamento, lavoro necessario per mantenersi e che non abbandoneranno mai. Nondimeno, nella ritualità della posa, Tina si impegna a riprendere il soggetto in differenti posizioni, mantenendo il caratteristico tratto umano e diretto per regalare allo spettatore la complicità di uno sguardo in cerca di dialogo.

Sebbene le foto più importanti, quelle che la faranno passare alla storia, siano state scattate in Messico tra il 1923 e il 1929, l’anno successivo viene inopinatamente espulsa dalla terra che l’aveva accolta e valorizzata con la sua unica grande mostra personale. Ora come allora il Messico è davvero terra di contrasti!

D’altra parte, Modotti aderisce al partito comunista nel 1927, racconta con empatìa e rispetto i lavori più semplici, le realtà rurali, il conflitto latente fra la ricchezza dei privilegiati e l’umile dignità dei molti, e l’impegno politico crescente la porta proprio alla momentanea espulsione dal Paese sotto il presidente Calles. Nel frattempo, però, la documentazione di Tina Modotti sull’arte muralista, già diffusa nel mondo, dà visibilità internazionale a magnifici artisti, tra i quali spicca Diego Rivera che la immortala nei famosi “Murales di Chapingo”, e di conseguenza alle campagne politiche che i muralisti messicani portano avanti con le loro opere.

Insomma, una vita vissuta con grande intensità e periodicamente caratterizzata da cambiamenti traumatici. Proprio come la sua morte a soli 46 anni. Nel 1942, in un taxi, ufficialmente per una congestione viscerale generalizzata, ma forse avvelenata dopo aver trascorso la serata insieme alla spia Vittorio Vidali in una cena frequentata da rifugiati politici e profughi della guerra spagnola.

I giornali denunciano l’ennesimo delitto perpetuato da agenti russi in terra messicana, ma la polizia non trova indizi che indichino un omicidio e non autorizzano l’autopsia. Ricevuta la notizia della sua morte, Diego Rivera sostiene che Vittorio Vidali ha organizzato l’omicidio perché Tina sapeva troppo sull’attività di Vidali in Spagna, comprese le voci riguardanti diverse centinaia di esecuzioni.

Oggi, oltre a una vita senza precedenti, romanzesca, stupefacente, ci rimangono le 300 immagini di una delle più importanti fotografe del XX secolo.

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Sono imprenditore nel settore metalmeccanico per la ristorazione professionale e da oltre trent’anni seguo l’omonima azienda di famiglia, riferimento industriale del Made in Italy dal 1952. Leggi tutto

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