SMART WORKING O TELELAVORO?

In questi giorni di difficoltà, dovuta al maledetto virus che sta contagiando le persone non solo dal punto di vista sanitario ma anche da quello comportamentale, si parla spesso a sproposito di smart working. Con poche righe vorrei chiarire la differenza tra questo modello di lavoro, che ultimamente il governo italiano tira in ballo a suon di decreti, da quello che è più semplicemente definito telelavoro. Telelavoro che io stesso ho promosso in azienda, proprio alla vigilia del pandemonio nonché della pandemia attuale.

Prima di iniziare, vorrei fissare questo concetto: lo smart working, il lavoro agile per chi come me adora la lingua italiana, significa creare una esperienza nuova per i dipendenti, una trasformazione organizzativa e culturale profondamente diversa dal telelavoro o lavoro remoto.  Da un punto di vista culturale e di organizzazione del lavoro lo smart working adotta un sistema fresco con modelli di lavoro più flessibili e moderni in armonia con le scelte suggerite dall’utilizzo quotidiano di dispositivi come smartphone e tablet e con le scelte di spazi, orari, strumenti da utilizzare contro una maggiore responsabilizzazione dei risultati in un percorso di Digital Transformation (come la chiamerebbero quelli che ne sanno di marketing). Una nuova filosofia manageriale fondata sulla “restituzione” alle persone di flessibilità e autonomia. 

Tuttavia, mettere in piedi un progetto di smart working all’interno di una PMI non è cosa semplice e scontata. In Italia gli smart worker sono in crescita, sì, ma soprattutto nelle grandi imprese e nella Pubblica Amministrazione. Ci vuole tempo per farlo. Ci vogliono mezzi e convinzione e il tessuto imprenditoriale italiano è prevalentemente intrecciato al telaio della piccola e media azienda.

Ma vorrei andare più a fondo. Riprendere i concetti con altre parole. 

Il telelavoro (remote working) prevede lo spostamento totale o parziale del luogo di lavoro dai locali aziendali ad altra sede, solitamente l’abitazione del dipendente, ma il collaboratore è vincolato a lavorare da una postazione fissa e con lo stesso orario che hanno i colleghi in ufficio. 

Il lavoro agile (smart working) prevede l’attività svolta in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, ma senza stabilire una postazione fissa. Insomma, senza vincoli di spazio e tempo, ad eccezione del limite di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale. Tutte condizioni derivanti da legge e contrattazione collettiva. Si può lavorare da dove si vuole, dentro e fuori l’azienda, non si timbra il cartellino, non si fanno pause in orari predefiniti. L’azienda e il dipendente concordano le modalità di lavoro flessibile, si mettono a fuoco obiettivi e risultati.

I promotori dello smart working insistono soprattutto sull’obiettivo di aiutare il lavoratore a conciliare tempi di vita e lavoro, favorendo la crescita della sua produttività. La logica di questo modello ambisce a smarcare i lavoratori dipendenti da orari e istruzioni precise dei capi. Questo per godere di maggiore flessibilità e autonomia, di tempi e luoghi dove svolgere il proprio lavoro, disponendo di strumenti digitali per operare in mobilità e, con l’esperienza, accrescere autonomamente il proprio senso di responsabilità dando così impulso agli affari.

Belle prospettive, da studiare e tagliare come un abito sartoriale per ciascuna azienda, per poi vedere se quell’abito si può indossare e se sta bene. Ma la realtà di questo tragico periodo parla soprattutto un’altra lingua. La lingua del TELELAVORO, anch’esso regolamentato da normativa. Una soluzione magari di vecchia concezione, ma ora di indubbia utilità. Una opportunità che suggerisce a chi non lo avesse ancora fatto, attività imprenditoriali con i requisiti per continuare a svolgere il proprio lavoro in questi giorni di forzate chiusure, di muoversi a:

  • Organizzare tutto per bene e con urgenza
  • Individuare le persone che siano disposte a lavorare da casa e non siano coinvolte direttamente in un processo produttivo
  • Informatizzare i pc personali di chi ne possiede uno abbastanza potente da far girare il gestionale aziendale e ha una buona copertura privata del segnale Internet
  • Verificare che il collaboratore abbia questa postazione fissa a casa, cioè dislocata in un luogo diverso dalla sede aziendale e il più possibile lontana dall’affollamento dell’ufficio e dal possibile contagio con il Covid-19

Concludendo: smart working di qua e smart working di là. Trovo davvero tanto irritante quanto impreciso chi vuole essere al passo coi tempi riempendosi la bocca di inglesismi, indossando la splendida giacca della festa sui pantaloni da lavoro coi buchi. A cominciare dai nostri politici e legislatori, che d’inglese sanno poco o nulla e inducono, per primi, a confusione su rapporti di lavoro e terminologie contrattualistiche.

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Comments

  • marco ongaro

    Marzo 24, 2020 at 10:28 pm
    Reply

    Molto interessante questa precisazione. Grazie

    • Cristiano Zanolli
      to marco ongaro

      Marzo 25, 2020 at 10:38 am
      Reply

      Grazie, Marco. Sono davvero contento ti abbia interessato il tema e la precisazione sulle differenze tra i due termini. Un caro saluto

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Sono imprenditore nel settore metalmeccanico per la ristorazione professionale e da oltre trent’anni seguo l’omonima azienda di famiglia, riferimento industriale del Made in Italy dal 1952. Leggi tutto

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