Proust, l’animo messo a nudo

Lo scorso 14 giugno, nell’ambito del Festival della Bellezza, il professor Alessandro Piperno ha incantato tutti gli spettatori presenti al Giardino Giusti di Verona. Un pubblico da sold out, si perdoni l’inglesismo. Fossero preparati o meno su Proust – chi ha letto tutta la Ricerca del tempo perduto alzi la mano – nei partecipanti ho percepito curiosità e desiderio di arricchire le proprie conoscenze per tutta l’ora e mezza d’intervento. Una platea attenta a seguire ogni passaggio, aulico o spiritoso, dello scrittore, editorialista e accademico italiano vincitore di prestigiosi premi letterari internazionali.
Provo qui a riportare le note salienti dell’acuto, ironico, originale monologo del professore. In prima persona, così come da appunti presi sul posto, eliminando l’intercalare del parlato e cercando d’interpretarne le pause. Chiedo scusa per le eventuali mancanze che i lettori dovessero riscontrare in questo articolo. Suggerisco una riflessione con occhi vigili e pazienti, ne vale davvero la pena.

“E da molto tempo a mio padre non è più possibile dire alla mamma – vai col piccolo -. Quelle ore mi sono ormai inaccessibili. Ma da un po’di tempo ho ricominciato a sentire molto bene, se mi concentro, i singhiozzi che ebbi la forza di trattenere davanti a mio padre e che scoppiarono quando, più tardi, mi ritrovai solo con mamma. In realtà, essi non sono mai cessati; ed è soltanto perché la vita si è fatta più silenziosa intorno a me che li sento di nuovo, come quelle campane di conventi che il clamore delle città copre tanto bene durante il giorno da far pensare che siano state messe a tacere e invece si rimettono a suonare nel silenzio della sera”. (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto)

Il narratore di À la recherche du temps perdu, che assomiglia molto a Marcel Proust ma non è Marcel Proust per carità di Dio, dice ad un certo punto… proprio a poche pagine… che si possa dire a poche pagine di Proust… a poche pagine dalla fine del romanzo: “C’è un momento nella vita di ciascuno di noi, che l’idea della morte ti entra dentro e non ti lascia più in pace”. Quando la lessi, diciottenne-diciasettenne, fu una frase che mi colpì molto perché c’era dentro tutto il senso della letteratura. L’idea che la morte fosse l’argomento di cui poi più o meno tutti gli scrittori, tutti gli uomini, tutti gli artisti, in particolare, finiscano con l’occuparsi. Però quanto ero in grado, diciottenne, di capire una frase del genere? Quanto sei in grado di capire certe frasi e sensazioni quando sei poco più che un ragazzo, quando hai tutta la vita davanti? Questa idea, che una volta che la morte ti entra dentro non ti lascia più in pace, mi sembrava una formula allo stesso tempo straordinariamente efficace, romantica. Però, anche se ci penso oggi introspettivamente… boh… piuttosto astratta. Poi invece arriva un momento della vita, non è che adesso sono Matusalemme, però insomma gli anni passano per tutti, in cui improvvisamente quella frase acquisisce un senso, un senso profondo e di solito ha a che fare con piccole cose o grandi cose, naturalmente della tua vita. Anzi, per il fatto che da un certo momento in poi inizi ad avere qualche acciacco, le cose che prima riuscivi a fare non riesci più a farle, non sono ancora alla fase in cui mi cedono il posto in autobus però insomma mi sto avviando a passi di carica, allo stesso tempo hai quella sensazione che le persone che hai sempre dato per scontate improvvisamente vengano meno. S’inizia con i genitori, poi con le persone intorno, poi con gli amici: proprio come quella frase proustiana, che sembrava una frase letteraria. Invece diventa qualcosa di reale, ma condiziona dall’interno la tua esistenza e ti rendi conto che è l’argomento più interessante e importante di tutti. Ora se questo… sul piano della vita di ciascuno di noi… è molto seccante, più passa il tempo più diventa incombente e drammatico. La mia idea, una mia vecchia idea che tra l’altro sperimento su me stesso, è che invece sia una straordinaria opportunità per chi fa il mio mestiere. Naturalmente Proust lo faceva in modo diverso, però insomma il mestiere è lo stesso: è provare a scrivere qualcosa di decente.

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Sono imprenditore nel settore metalmeccanico per la ristorazione professionale e da oltre trent’anni seguo l’omonima azienda di famiglia, riferimento industriale del Made in Italy dal 1952. Leggi tutto

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