cz Professor Canova, ci sono vari titoli che uniscono cinema e cibo, come: “L’acqua per il cioccolato”, “La finestra di fronte”. Qual è l’importanza, secondo lei, se c’è, del rapporto tra cinema e cibo?
GC È un rapporto molto solido, denso e profondo che ha contribuito secondo me in maniera significativa a diffondere e raffinare la cultura del cibo nel corso del ‘900, con una differenza sostanziale rispetto al tipo di promozione del cibo che viene fatta oggi dai tantissimi programmi televisivi, talent show… che si occupano appunto di cucina, da Master Chef a tutti i suoi derivati. Dov’è la differenza? La differenza è che il cinema è un medium narrativo, e quindi inserisce la dimensione del cibo, il consumo del cibo, la preparazione del cibo, il piacere del gustare o del degustare un determinato tipo di cibo in una storia, in un racconto, e quindi pone lo spettatore nella condizione emotiva di condividere col personaggio del il piacere del vedere, preparare, assaggiare, un certo tipo di cibo, laddove invece trasmissioni come Master Chef, che pure hanno un loro indiscusso valore, pongono più il telespettatore nella condizione del cuoco, di colui che ambirebbe a preparare il cibo. Invece il cinema ci pone più nella posizione di colui che prova il piacere della degustazione, il piacere dell’assaggiarlo, del nutrirsi. E da questo punto di vista c’è tutto un filone molto importante, che una volta superato la cultura della fame, che era purtroppo in Italia ancora radicata fino a tutti gli anni ‘50, ricorderete tutti la famosa scena di Totò in “Miseria e nobiltà”, che ha talmente fame che quando gli arriva davanti un piatto di spaghetti fumanti invece di mangiarli se li mette in tasca , perché li mette da parte, perché sa che se li mangiasse, poco dopo tornerebbe la fame, invece li tesaurizza per salvare la fame successiva. Superata quella fase lì, anche il cinema italiano, come tutto il cinema Europeo, ha costruito dei percorsi molto interessanti relativi al cibo, anche in particolare ai dolciumi, alla pasticceria, per cui i titoli che lei ricordava, come “La finestra di fronte” di Ozpetek, per esempio, con Massimo Girotti maestro pasticcere, è uno dei momenti più raffinati, coinvolgenti e anche stuzzicanti, si vede il lavoro di quel pasticcere e viene davvero l’acquolina in bocca, viene voglia di scendere e andare dalla pasticceria più vicina e comprare le migliori paste sul che si trovano mercato.
cz Quindi potremmo parlare di pasticceria come simbologia del sublime sulla pellicola?
GC Assolutamente, cambiando genere alimentare, c’è un film americano molto interessante con Giulia Roberts, che si chiama “Mystic pizza”, dove mi interessa soprattutto il titolo, perché lei lavora davvero in una pizzeria, dove il nome è singolare, no? La pizza che ha quasi una dimensione mistica, lei usava la parola sublime, ecco tra sublime e mistico siamo comunque in una dimensione in cui il cibo trascende la propria materialità e il proprio essere giustamente, inevitabilmente – e per fortuna – un qualcosa di assolutamente materiale, corporeo, tangibile, ecco sul piano simbolico diventa un qualcosa che appaga dei bisogni umani che vanno ben al di là del bisogno di nutrirsi, e diventano desideri, più che bisogni. Quindi il cinema, i racconti, la narrazione… l’arte in qualche modo ci aiuta a far transitare il cibo dalla dimensione materiale a quella immateriale, dalla dimensione del bisogno a quella del desiderio.
cz Infatti mi fa venire in mente un film, sempre sulla pizza, “Mangia, Prega e Ama” con Julia Roberts, no?
GC Strepitoso! Dove lei dice addirittura dice: “Ho una relazione con la pizza”, come se la pizza fosse una sorta di partner amoroso e di fronte all’amica che la pizza non la mangia le si slacciano già i pantaloni e ha paura di ingrassare, e lei le fa una sublime lezione di gastronomia culinaria e di erotismo dicendo “mangia pure perché tanto poi quando sei a letto con un uomo se anche hai qualche etto in più perché hai mangiato la pizza, nel momento in cui sei lì mica ti caccerà via, anzi forse può anche apprezzare”. Trovo molto bella questa legittimazione del mangiare in un’epoca quasi un po’ punitiva no? Dove “stai attento a questo” … per carità, è giustissimo, in passato abbiamo mangiato anche schifezze, no? È giusto essere attenti a quello che si mangia, è giusto prestare molta cura a quello che ingeriamo nel nostro corpo, purché questo non diventi una continua auto punizione, una continua privazione. E il cinema in questo più di una volta ci fa vedere il piacere del cibo, ricordiamo tutti quel sublime film che è “Il pranzo di Babette”, che è un film un po’ vecchio, ma mi permetto di consigliare a tutti coloro che non lo conoscessero, è la storia di una cuoca sopraffina che fugge dalla Francia della Rivoluzione e si rifugia in un villaggio – se non ricordo male – della Danimarca abitato da austeri anziani signori che praticano una vita rigorosissima, anche dal punto di vista alimentare, e lei prepara questo pranzo sublime, con delle portate incredibili. Ed è bellissimo perché vedi come all’inizio della cena questi anziani signori con la faccia ingrugnita, severa, austera senza un sorriso e a poco a poco, bevendo e mangiando, i lineamenti si sciolgono, i volti sorridono, le anime si liberano, le amicizie rinascono. La straordinaria convivialità che solo la buona tavola sa dare. Forse non si è mai così amici come a tavola.
cz Quindi c’è un rapporto di schiettezza, di sincerità, di una buona pasta, di una buona pizza cotta ad arte e la capacità di affidarsi a un rapporto sentimentale?
GC Assolutamente. Non a caso se tu corteggi una signora la inviti a cena, per prima cosa. Perché hai la consapevolezza che seduti attorno alla tavola la convivialità, il condividere il cibo… non è un caso insomma che anche nella religione Cristiana, della cui cultura siamo tutti figli, che siamo credenti o no, che ci piaccia o no, non è un caso che si il mito di Cristo si concluda nell’ultima cena. E che addirittura l’eucarestia sul piano simbolico implichi il mangiare, come se davvero il mangiare e il bere fossero il simbolo della maggiore possibile comunione che può esistere tra le persone. Non c’è altro modo più forte, quasi religioso, davvero fisico e spirituale nello stesso tempo, di arrivare alla comunione con gli altri.
cz Professore le volevo fare un passaggio perché abbiamo parlato di pizza e di pasticceria, e noi facciamo anche dei forni per il pane. Se parliamo di pane e cinema, cosa le può venire in mente?
GC Dunque sul pane è più difficile, perché è un alimento…al momento non mi viene in mente nulla.
cz Tante volte vengono citati in certi titoli, anche se poi non si parla propriamente di pane…
GC Ma certo, “Pane, amore e fantasia”, “Pane e cioccolata” … perché il pane è comunque sul piano simbolico l’alimento base di ogni forma di nutrizione. Però anche lì il cinema ha un potere di trasfigurazione, perché pensi anche solo a questi titoli… Io sto pensando alle scene più significative. In realtà in “Pane, amore e fantasia” il pane lo si vede poco. Ma è proprio, come dire, siamo nell’Italia del dopoguerra, nei primi anni ‘50, l’Italia della ricostruzione, l’economia è povera, siamo usciti sconfitti dalla Seconda Guerra Mondiale, le città sono ancora ferite dalle piaghe della guerra, e tuttavia, nonostante tutto ciò, che cosa serve a noi italiani per vivere bene? Pane, amore e fantasia. E quindi il pane, cioè il cibo, che serve per nutrirci, ovviamente il sentimento e poi l’estro, l’estro di noi italiani, che ci rende un popolo unico al mondo.
cz Mi viene in mente anche un altro titolo: “Pane e tulipani” …
GC Sì, il grande Silvio Soldini, dove anche lì c’è un po’ il gioco del film che citavo prima, il pane come elemento primario, tra l’altro qui compare nel titolo anche perché c’è un gioco fonico: pane, an, e tulipani. Il gioco è voluto, me lo ha confermato il regista stesso, è un giochino voluto di assonanza tra le due parole, a significare che il pane e il tulipano sono due elementi che si legano e si fondono l’uno nell’altro perché il tulipano è il simbolo della grazia e della bellezza floreale, di cui abbiamo bisogno tanto quanto il pane, non a caso c’è un’assonanza fonica tra le due parole.
Sulla pizza, secondo me c’è una scena imprescindibile, in “Ritorno al futuro 2”, dove mettono in un forno una pizzetta grande come un bicchiere e viene fuori una pizza grandissima color tricolore, bianca, rossa e verde. Mi piace molto in questo film americano, che il futuro tecnologico fornisca pizze di quel tipo, lo trovo delizioso.
@gianni_canova
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