Lo scorso giugno ho avuto la fortuna di partecipare, nella mia Verona, a due bellissimi appuntamenti culturali che nulla avrebbero in comune. Nel suo ultimo tour mondiale, il concerto dell’inossidabile Elton John all’Arena. In un evento al Teatro Romano, inserito tra i molti del Festival della Bellezza, lo show intervista all’attrice e neo-scrittrice Laura Morante.
Non sono un grande frequentatore di concerti, ma tra quelli visti quello di Elton è il più toccante. La sua voce, all’inizio e prima di scaldarsi, stentava a esprimersi. Un forte, banale raffreddore può mettere in difficoltà qualunque cantante e di ben più giovane età. Credo sia stato un accadimento inevitabile la diserzione di Elton allo spettacolo del giorno successivo. La professionalità e il suo mestiere, tutto in un controcanto. Non ricordo in quale canzone, sono state tantissime, a supporto parrebbe esserci stato il puntuale sostegno di uno dei suoi. Nessuna sbavatura, nessuna obiezione al maestro. Prova strepitosa, un tributo di tre ore alla sua carriera con ben tre cambi d’abito e continui cambi di visual proiettati ad accompagnare i vari brani musicali. Cosa aggiungere oltre a quello che esperti musicali di tutto il mondo hanno già detto o diranno dell’intramontabile pop star inglese? Proprio questo è il focus indimenticabile: l’aspetto più vero è stata la sua immagine vulnerabile di consumato uomo di spettacolo giunto controvoglia al tramonto della sua carriera. Dopo averci chiesto scusa per la voce orribile con cui avrebbe cantato, gli addetti ai lavori avranno colto meglio questo aspetto, Elton John ha percorso con le sue canzoni mezzo secolo. Tanti anni, che la maggioranza degli spettatori dell’Arena di Verona hanno vissuto con lui anche se mediamente più giovani di quasi una generazione. E mentre le immagini registrate scorrevano sul palcoscenico, ricordando spesso il passato con i suoi concerti più belli, e il presente, con il suo film Rocket Man in uscita nazionale lo stesso giorno del concerto, la sua parte più umana si delineava. Nella voluta comparazione con le immagini passate, in cui saltava sul piano e si scatenava nei palcoscenici mondiali anche assieme ad altre icone musicali, solo le mani si prodigavano sulla tastiera ancora funamboliche come un tempo. Elton si staccava dallo sgabello solo qualche istante per ringraziare e alzare l’entusiasmo del pubblico al cielo plumbeo, inchinatosi pur esso a Sir John mantenendo una calma insperata. Poi tornava a sedersi non senza qualche difficoltà. “Chissà se un personaggio così speciale come Elton John prova ancora delle emozioni fanciullesche quando sale sul palco” pensavo fra me prima dell’inizio anticipato del concerto causa paura pioggia incombente. Io credo proprio di sì e credo anche che Elton si sia divertito a intrattenerci e a confessarci gemme di vita e sensazioni. Era così contento di tornare a Verona nella splendida Arena, ma censurava nervoso il back stage dell’anfiteatro, non all’altezza del resto. E poi, come in un gigantesco intimo confessionale, dichiarava di dissentire dalla Brexit e dai mediocri politici britannici dalla vetusta mentalità coloniale e di sentirsi cittadino europeo. Ci mostrava con foto e dichiarazioni d’amore di aver voluto contraccambiare l’aiuto ricevuto da altri, per superare le difficoltà della vita e riconquistare sobrietà ed equilibrio, con la sua Elton John AIDS Foundation istituita negli anni Novanta. Dichiarava di voler dedicarsi ai suoi due figli e a suo marito senza però dimenticarsi mai dei suoi fan che gli rimarranno sempre nel cuore. Momenti autobiografici, momenti di autentica condivisione con il suo amato pubblico. Farewell Yellow Brick Road chiude il concerto in modo struggente. Elton John si sveste della sgargiante vestaglia con cui era rientrato sul palco per concedere il suo bis e suggerirci che dopo quasi tre ore di concerto era giusto così. Rimane ancora un momento con noi, indossando un giubbotto con stampato il suo nome luccicante sul retro. Esce dal sipario, montando su un discreto scivolo meccanico, mentre si catapulta sullo schermo gigante la sua iconica ripresa di spalle. Elton si incammina su una strada dorata e circondata da fiori, come a volerci dare il suo personalissimo addio. L’addio di uno degli artisti più significativi della recente musica contemporanea.
Al Festival della Bellezza Laura Morante ha condiviso con il pubblico altrettante gemme di vita e sensazioni personali. Lasciando di stucco lo stesso intervistatore, il critico cinematografico Gianni Canova, ci regala diversi outing, per usare un termine inglese d’uso ormai comune. La sua carriera d’attrice sembra quasi casuale “Mi pagavano per fare delle cose che mi sembravano così semplici e poco faticose” dice con il suo simpatico accento tosco-laziale. Ci racconta che per anni non ha preso molto sul serio cinema e registi, ammettendo di aver disperso anche delle buone opportunità di lavoro con il rischio di perdere qualsiasi possibilità di rientro al cinema, una volta trasferitasi in Francia, e di essere stata molto inseguita nella sua carriera. L’abile e competente Gianni Canova la conduce a raccontarci aspetti di sé e della vita d’attrice. Con l’aiuto della proiezione di alcuni spezzoni di film, a volte non tra i più popolari che ci si attendeva di vedere proiettati, riviviamo le varie declinazioni artistiche della bellissima Morante, e chi ci crede alla sua età anagrafica, andando dal drammatico alla commedia passando per l’horror gotico. Si susseguono tanti nomi illustri di registi, attori e artisti che nel corso della lunga carriera ha avuto modo di conoscere: Bernardo Bertolucci, Nanni Moretti, Carmelo Bene, e poi ancora Verdone, Virzì, Avati. Un accenno ai premi internazionali e agli impegni nella più recente veste di regista. Molti gli aneddoti raccontati, tra film girati in Argentina con corsi di tango inclusi nel compenso e le fobie per il teatro e le dimenticanze delle partiture teatrali (ben più incerte di quelle del cinema) o ancora le proprie lacrime mai prestate alla causa, ma sempre indotte dal mentolo perché non ci si può commuovere o baciare sul serio sul set “o almeno io non ci riesco, forse altri colleghi sì”. Ma è il colpo di scena finale a lasciare basiti. Tutti ben sanno, io da pochi giorni, che Laura Morante è nipote della scrittrice Elsa Morante. Forse per questo, Laura è stata spinta a cimentarsi anche nella scrittura da parte di una nota casa editrice. Suoi, il racconto iniziale letto da Canova dal leggio del palcoscenico teatrale veronese e quello finale letto dalla stessa Morante. Non nascondo delle incertezze su ciò che ho ascoltato, nemmeno me ne voglio assumere l’onere. Ma ciò che mi ha davvero sorpreso, e deve aver stupefatto Canova, è l’affermazione della prevalenza della forza dei libri sui film. “Il libro vince, ti entra dentro, ti può cambiare la vita, lo sfogli e rimane. Il film è lì, per il semplice fatto che lo hanno girato. Che ti piaccia o no e magari non lo vede nessuno. Neppure un film mi ha cambiato la vita, dei libri sì”. Apostasia? Direi grande lealtà verso se stessa, intervistatore, pubblico presente. Grande fierezza di donna, di mente pensante. Le poliedriche capacità innate, la bellezza, il cognome: sta di fatto che i successi ottenuti e celebrati l’altra sera rievocano l’omaggio alla vita e alla carriera di altri autentici taccuini autobiografici svelati in pubblica condivisione.
Elton John e Laura Morante con la musica, il cinema e la letteratura appaiono uniti da un sottile fil rouge che ne canta le lodi artistiche e umane pur nella diversità dei loro mondi culturali.
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