Cosa leggo quest’estate? Consigli di lettura, senza business

Suggerimenti per la lettura:
DISOBBEDISCO. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920 (Giordano Bruno Guerri, Mondadori)
Ammetto subito di non aver mai letto nulla di Giordano Bruno Guerri, di averlo solo visto in tivù qualche volta, senza neppure soffermarmi molto su ciò che diceva, che mai avrei pensato di comprare un libro di questo autore prima del 10 di giugno. Incuriosito dal titolo del suo intervento al recente Festival della Bellezza di Verona, decido di andare al Giardino Giusti ad ascoltare ciò che ha da offrirmi su Gabriele d’Annunzio. D’Annunzio: lo snobismo dell’assoluto è l’intrigante titolo della conferenza. “Giordano Bruno Guerri è il direttore del Vittoriale degli Italiani” mi suggerisce a sua insaputa una voce fuori campo. Scivolo in avanti, giusto sulla punta della sedia. Mi rannicchio per un istante come un feto che vorrebbe tornare in pancia a mamma, già sfinito di non sapere, già nostalgico delle coccole del liquido amniotico appena abbandonato.
Tuttavia è questione di pochi attimi. La vergogna lascia spazio alla mia totale attenzione verso il relatore. Rimango subito affascinato dal modo di presentare l’argomento, dalla forza con cui la semplicità del linguaggio adottato arricchisce e completa le mie conoscenze, a tratti molto scarse, sugli argomenti trattati. Giordano Bruno Guerri accompagna il pubblico per quasi un’ora e mezza nello sviluppo di temi che introducono sapientemente, per chi volesse approfondire gli argomenti, alla lettura del suo ultimo libro Disobbedisco: 550 pagine di scrittura fruibile, limpida. Lo stile dello scrittore-oratore è impeccabile, signorile, e rende tutto così immediato, così vero, così fluido che non ti stancheresti mai di ascoltare ciò che ora ti sei messo pure a leggere. Lo scrittore e saggista, nel centenario della ricorrenza dell’avventura fiumana di Gabriele d’Annunzio, annuncia di voler subito liberare questa pagina di storia italiana dalle tante ricostruzioni inesatte, semplificate: “D’Annunzio non fu mai fascista” ci dice “L’impresa di Fiume nemmeno lo fu, anzi, molti dei legionari di d’Annunzio si schierarono contro il Duce”.
L’antefatto risale al 12 settembre del 1919, quando il poeta conquista la città di Fiume al comando di duemila ribelli, soldati del Regio Esercito. L’operazione riuscì senza sparare un colpo e l’occupazione durò circa sedici mesi, in barba alle maggiori potenze ancora sconvolte dalla Prima guerra mondiale. Giordano Bruno Guerri ricostruisce il periodo riportando dati storici intrecciati in narrazione. Vicende di uomini e donne che hanno vissuto davvero quell’avventura straordinaria. Nell’opera emerge tutta la poliedricità della figura di d’Annunzio, indiscusso ispiratore e protagonista della rivoluzione. Sì, perché il Vate desiderava rivendicare l’italianità di Fiume, ma soprattutto sognava di trasformare la sua grande impresa in una rivoluzione globale contro l’ordine costituito. Verbalizzando la futuristica costituzione chiamata Carta del Camaro, Gabriele d’Annunzio teorizzava un governo della cosa pubblica lontano da quello dello Stato liberale, socialista, fascista e già dal 1914 voleva che l’Italia intervenisse al fianco della Francia in una sorte di “patto latino” contro l’imperialismo germanico.
Patriota e libertario, cultore del passato e celebratore della modernità, seppe cogliere e comprendere la profonda ansia di rinnovamento della nuova generazione. Sarà il protagonista della campagna per l’intervento, il supereroe della guerra, il Comandante dell’ultima avventura romantica e della prima rivolta generazionale del Novecento.
Guerri ci narra, e lo ritrovo ribadito per iscritto nel testo firmato con gentile e simpatica dedica, delle vicende dannunziane. Sin dai tempi dell’adolescenza, di quando pubblicò con successo la sua prima raccolta poetica e già strabiliava con la sua fantasia nel momento della pubblicazione della seconda. Fingendosi morto per poi riapparire dopo elogi e onori che i critici credevano postumi, il poliedrico Gabriele fu anche precursore delle ben più attuali operazioni di marketing a effetto teaser. Le sue spasmodiche e precoci pulsioni carnali per il bello, le donne, il lusso sono da lui stesso definite necessarie come l’aria che respirava e la sensualità come condizione necessaria per la creatività dell’artista.
Nessuno tuttavia poteva immaginare che – ultracinquantenne – sarebbe diventato un eroe di guerra. […] Il suo rapporto con la nazione, tuttavia, è ancora soltanto pura, elegante retorica. L’anno successivo il raffinato dandy vivrà come una tragedia il richiamo per il servizio militare. […] Lo stesso vale per l’impegno politico. Nel 1897 gli viene offerto dalla destra di candidarsi deputato e lui accetta. […] Le sue presenze sporadiche in Parlamento tradiscono una scarsa considerazione per la politica tradizionale, ma quando la Camera sta per votare le leggi liberticide del generale Pelloux, primo militare capo del governo, si presenta a Montecitorio. Durante il dibattito, all’improvviso si alza dai banchi della destra, tutti tacciono: il poeta attraversa silenziosamente l’emiciclo, a passi lenti si dirige verso i banchi della sinistra. Prima di sedersi grida “Vado verso la vita!”. L’esperienza parlamentare lo disgusta, convincendolo della distanza tra “paese legale” e “paese reale”, stanco della prudenza riformatrice di Giolitti, priva di grandi idealità, che sia quella socialista o quella nazionalista.
Il racconto dello scrittore e saggista delinea la figura di d’Annunzio sino a portarla ai tempi in questione, quando il Vate è anche guerriero, intellettuale d’azione, quando è finalmente circondato dal pubblico che desidera da sempre: uomini giovani e forti che lottano per riplasmare il mondo. “Io non sono scrittore da scrittoio” precisava al suo editore già nel 1907.
La gloria, tuttavia, è l’ossessione a cui d’Annunzio tende senza risparmio, con un disprezzo del pericolo che lo spinge a escogitare peripezie militari provocatorie e pericolose, efficaci più per la propaganda che per la loro rilevanza militare. Continua a volare sulle grandi città italiane occupate dal nemico, getta volantini propagandistici su Trieste, Grado, Trento, Pola. Il governo austriaco fissa una taglia di ventimila corone per la sua cattura. […] Azioni che lo portano sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, compie pericolosi voli di collaudo per saggiare autonomia e tenuta degli apparecchi.
Alla conferenza di Versailles del 4 dicembre 1918, la delegazione italiana è osteggiata dal presidente americano Wilson in missione, deciso a sostenere la Jugoslavia e a limitare l’influenza italiana sull’Adriatico. Il mondo politico italiano è diviso tra chi accetta le concessioni al nascente stato della Jugoslavia e chi rivendica a ogni costo i diritti dell’Italia vittoriosa. Prende forma un vasto fronte politico con nuove destre e nuove sinistre. Il fulcro è rappresentato dai valori del rinnovamento nazionale, dell’antisocialismo, dell’irredentismo intransigente. In quel momento storico così delicato erano in molti ad augurarsi di guidare la politica della “nuova Italia”. Da Mussolini al sindacalista De Ambris, dal nazionalista Federzoni ai futuristi Carli e Marinetti. Tuttavia ognuno di loro deve fare i conti con Gabriele d’Annunzio, con la sua diversa prospettiva e con un Paese che pende soprattutto dalle sue labbra.
Scrive ancora Guerri: Per sedici mesi Fiume fu teatro di cospirazioni, feste, beffe, battaglie, amori, in un intreccio diplomatico e politico sospeso tra utopia e realtà. Militari, scrittori, aristocratici, industriali, femministe, sovversivi, politici, ragazzi fuggiti di casa componevano l’esercito del “Comandante”, inconsapevoli di quanto avrebbero influenzato l’immaginario del Novecento. […] Mussolini, che a Fiume tradì d’Annunzio, saccheggiò quell’epopea adottandone la liturgia della politica di massa: i discorsi dal balcone, il dialogo con la folla, il “me ne frego”, l’”eia eia alalà”, riti e miti: così l’Italia democratica ha voluto dimenticare che la “Città di Vita” fu anzitutto una “controsocietà” sperimentale, in contrasto sia con le idee e i valori dell’epoca sia – e tanto più – con quelli del fascismo.
Dopo il “Natale di Sangue”, come definisce l’epilogo tragico lo stesso poeta, la vicenda di Fiume venne così inquinata dalla mitologia fascista per stesso volere di Mussolini, ci spiega Guerri. Mussolini aveva ingannato d’Annunzio, ingrassando la sua vanità con continue lusinghe e facendogli credere di essere dalla sua parte mentre ordiva trame con Giolitti. Sebbene d’Annunzio non fosse mai stato fascista, insiste lo scrittore, rispettava in Mussolini la capacità di aver realizzato ciò che a lui non era riuscito: la rivoluzione. Il Vate guerriero considerava Benito Mussolini un uomo di gran lunga inferiore a lui, sia umanamente che intellettualmente. Un uomo tenuto a rendergli omaggio, cui al Vittoriale faceva fare anticamera e riservava la porta d’entrata di destra, quella destinata agli ospiti indesiderati.
Alla fine, una volta al potere, il fascismo mise in naftalina l’essenza dell’impresa libertaria di Fiume, percorrendo una strada diversa. D’Annunzio aveva comunque e soltanto dimostrato, conclude Guerri, che lo Stato liberale poteva essere sfidato e vinto con la forza da una città Stato indipendente e in contrasto con i trattati internazionali firmati.
Mi resta un dubbio sul bel titolo principale. L’autore ha voluto giocare con il celebre Obbedisco contenuto nel telegramma di Giuseppe Garibaldi in risposta al generale La Marmora, prendendo così spunto dalla disubbidienza di Gabriele d’Annunzio, oppure si riferiva a se stesso e alla sua moderna interpretazione dei fatti di Fiume avvenuti un secolo fa?

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Sono imprenditore nel settore metalmeccanico per la ristorazione professionale e da oltre trent’anni seguo l’omonima azienda di famiglia, riferimento industriale del Made in Italy dal 1952. Leggi tutto

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