Carver chiama Piccolo. Rispondi Piccolo.

A tutti è capitato di perdere delle occasioni. A tutti è successo di non aver saputo cogliere il momento che si presentava inaspettato per fare o non fare un qualcosa, per dire o non dire una frase. E poi avanti con gli improperi e i mea culpa fino a sera o per i giorni successivi, per gli anni successivi. Talvolta per sempre.

Un po’ di tempo fa, mia moglie m’invita a vedere uno spettacolo di uno scrittore che l’aveva divertita fino alle lacrime. Questo scrittore brillante, penso io, vale la pena andarlo a vedere se Francesca lo rimarca tanto e mi paga pure il biglietto (di solito sono io lo sponsor). Presenziare a teatro mi sembra cosa buona e giusta. Accetto l’invito e do il consenso per l’acquisto dei ticket on line. Se poi la data dovesse coincidere con una delle mie fiere, m’invento qualcosa e ci vado lo stesso.

Francesco Piccolo, questo nome l’ho già sentito. So bene di non aver letto i libri su cui s’impernia lo spettacolo, ma ricordo di aver assaporato una sua prefazione a dei racconti di Raymond Carver in La Cattedrale. Una prefazione illuminante che mi introdusse preparato al modo singolare di scrivere racconti e di descrivere la vita così com’è davanti a noi. Questa è la magia dello scrittore americano.

E arriva il giorno dello spettacolo. Solita corsa a casa dal lavoro, ingurgito un’insalata, prelevo la consorte e m’infilo nuovamente in auto coll’incubo del parcheggio in centro città. Provo a trovare posto in zona universitaria, poi in un paio di Lungadige, alla fine cedo alle lusinghe del parcheggio Isolo e mando il gestore all’ingrasso, prima di mandarcelo in via definitiva, a quel paese, una volta letto l’importo. Ci sediamo addirittura in seconda fila. “Le cose in grande” penso fra me con l’aria stupita della prima volta. Calano le luci. Appena in tempo, giusto per togliersi l’impermeabile e porselo sulle ginocchia. Una giovane voce fuori campo legge un racconto, la gente inizia a ridacchiare, di quelle risate di chi sa il perché. Sorrido e mi aggrego confuso allo scroscio di applausi che accoglie due persone. Un giovanotto dai capelli bizzarri, “Questo l’ho visto in tv, mi pare”, per scoprirlo poi come Pif soprattutto noto per le sue conduzioni televisive, assieme a un signore meno giovane, appena in sovrappeso e dal piglio divertente. Almeno per esclusione, questi doveva essere Francesco Piccolo. E intanto inizia a pervadermi un certo senso di sprovvedutezza culturale.

Esibizione piacevole che per gradi vado apprezzando, per via delle lacrime agli occhi di chi mi sta a fianco, per via del divertimento puro e immedesimante nelle varie freddure aforistiche, gag, racconti letti o recitati. Intuisco anche un legame con Carver. Anche qui a Teatro Francesco Piccolo non ci parla di argomenti eclatanti, di momenti decisivi: “Infine è arrivato Raymond Carver, e ha sancito in maniera definitiva che i racconti non sono fatti soltanto di momenti decisivi, ma anche di tutti gli altri momenti della vita, quelli che a noi sembrano trascurabili: sia perché sono condizionati da ciò che è successo e ciò che sta per succedere, sia perché il germe degli eventi che accadono sta lì dentro e la letteratura deve raccontare il germe, non l’esplosione degli eventi.”, il giorno dopo sono andato a rileggerla la prefazione, facendo tesoro di quelle righe. Intuisco che il mantra continui in Francesco Piccolo nel suo Momenti di trascurabile felicità bissato dal successivo Momenti di trascurabile infelicità, ho giurato a me stesso di leggerli entrambi entro maggio, momenti che ora l’autore porta magistralmente in scena a teatro. Durante la serata l’eclettico Piccolo ci racconta piacevolmente di sé, delle sue candidature al Donatello, dei suoi lavori di regista e dei suoi mancati omaggi al Presidente Napolitano. Omaggi commissionati inopportunamente dalla propria mamma.

Intanto si sedimenta al 100% quel mio certo senso iniziale di sprovvedutezza culturale.

La conclusione dello spettacolo è bellissima, interattiva. Lo scoppiettante Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, porta il microfono a tutti quelli che vogliono condividere con Piccolo un loro personale momento di trascurabile felicità o infelicità. Evitando di prendere il microfono ecco il primo rammarico poco trascurabile, alla luce del seguito. Non mi veniva lì per lì, ero appena entrato nel meccanismo. Gli altri attorno a me vi si erano già calati come in una setta precostituita. Ero solo un nuovo adepto, un nuovo seguace diversamente giovane, un pivellino insomma.

Terminato lo show, do un’occhiata proprio ai due libri in vendita. Ma so già che a casa loro mi aspettano, non sapevo mi attendesse un secondo poco trascurabile rammarico. Usciamo sul fronte antistante il Teatro Nuovo di Verona per salutare un caro amico e collega scrittore. Gli avevo già fatto un segno all’inizio, prima di catapultarmi sulla poltroncina all’imbrunire dei fasci di luce di scena. Angelo è in compagnia di una bella ragazza, Carmen mi dice. Si parlotta, si commenta. Mi guardano strano, non conoscevo questo, non conoscevo quello. – Pif ha scritto una prefazione su Carver? –  – No, volevo dire quell’altro. – Chi, Francesco? – mi dice la nuova amica. Io penso: “Francesco… che cosa sono queste confidenze?”. Mi sento più stordito e inadeguato del solito. Trascorrono alcuni minuti e con mia moglie non sappiamo che fare, se congedarci o invitare gli amici a bere qualcosa. All’interno del Teatro Pif firma libri, si fa fotografare. “Mannaggia, potevo comprare i due volumi, farmi fare una dedica da Francesco Piccolo. Ma ho già quelli di mia moglie. Massì, dai. Chi se ne frega. Tanto non mi cagherebbe di striscio, questo qui stringe le mani ai Presidenti”. Si apre la porta a vetri dietro di noi. Vedo volti raggianti e mi giro all’istante. Che succede? Esce Francesco Piccolo. Lui si dirige verso Carmen con un sorriso smagliante. La bacia e la ringrazia di essere lì, di aver visto lo spettacolo. Poi saluta Angelo, mia moglie Francesca e quindi porge la mano a me. – Cristiano, – gli dico – complimenti. – sussurro. Sono già di pietra da qualche secondo. Francesco Piccolo si trattiene con Carmen e con noi per un paio di minuti. Gentilissimo, brillante, mancava solo ci portasse a bere una birra. Credo di averlo visto in un suo momento di trascurabile felicità, perché stava già decidendo di partire, non so per dove.

Lo scrittore rientra in teatro. Con Francesca decidiamo di andarci a bere un bicchiere di vino, prima di riprendere l’auto nel girone degli avidi. – Perché non ti sei fatto una foto con lui, non gli hai chiesto di concederti un’intervista per il tuo sito. Era lì con noi. Magari ti dava la sua e-mail – mi fa. Rimango in silenzio per 45 secondi, poi penso a quanto sono stato coglione. E non c’è due senza tre, si dice. Tre volte coglione.

È passato qualche tempo dalla rappresentazione, sto scrivendo in aereo al ritorno da Valencia. Mi accorgo solo ora che è passato un minuto dalla mezzanotte e che siamo entrati nel giorno del mio compleanno, giorno che scordo sempre di celebrare e che di solito mi ricordano gli altri. Parte l’annuncio del nostro prossimo atterraggio. Sto terminando il mio articoletto sul pc, manca un niente. Pigio il pulsante per spegnere il portatile, questione di attimi, di infinitesimi di secondo, il tempo utile allo spegnimento delle lucine, così ricovero il pc e chiudo il tavolinetto. – SIGNORE DEVE CHIUDERE IL TAVOLINO – tuona lo steward – Me ne dia il tempo! – ribatto. Mi si accende una luce, un lampo nel cervello. Anch’io sono entrato nella setta, non sono più un pivellino:

Quelli che dopo l’annuncio all’altoparlante non ti danno nemmeno il tempo di chiudere la ribaltina del tavolinetto, rimarcandoti che “stiamo per atterrare” e manca ancora mezz’ora.

Lo steward se ne va, si spengono le luci dell’apparecchio per l’atterraggio. Un altro lampo nel cervello e riaccendo il mio pc. Non ci sarà mica pericolo per un paio di minuti, ne sono certo dopo migliaia di ore di volo da passeggero ligio e attento alle disposizioni aeronautiche. Termino il mio pezzo e lo rileggo. Tutto, con serenità:

Quelli che vorresti prendere per il colletto e praticargli il lancio del giapponese e invece in aereo gli riaccendi il computer di nascosto. Non so perché, ma lo faccio sempre.

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Sono imprenditore nel settore metalmeccanico per la ristorazione professionale e da oltre trent’anni seguo l’omonima azienda di famiglia, riferimento industriale del Made in Italy dal 1952. Leggi tutto

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